Il nuovo arrivato di TheKing

Ecco a voi il sesto capitolo della storia di The King, che mancava da un po’ sui grandi teleschermi. A lui la continuazione della sua storia…

Il Nuovo Arrivato

Il nuovo arrivato…racconto di The King

Ritornarono i due Troll. Stavolta portavano un altro prigioniero. Era molto esile, ma portava visibili segni di un’imponente muscolatura, distrutta dalla fame. Il colorito era verde, il che faceva presagire ad un Orco. Ma non aveva niente a che vedere con quei pochi Figli dell’Orda che aveva visto Beiel. Il suo volto era segnato da una profonda tristezza, che andava al di là di qualsiasi tormento personale. La sua era una disperazione di chi sa che non è nelle sue possibilità risolvere ciò che lo annienta. Indossava un unico straccio marrone all’altezza del basso ventre che non ne impediva i movimenti, che dovevano essere stati molto agili. Erano visibili lunghe cicatrici ancora rosse, simboli di una recente tortura.
I due secondini lo gettarono nella cella alla sinistra di quella di Biel. Il neo arrivato si accasciò al suolo con un gemito. Cercò di alzarsri, ma tossì sputando sangue, e ricadde.

Con un grosso ghigno stampato sulle spigolose facce, le guardie si allontanarono soddisfatte.

Beiel corse alle sbarre; anche Boindur si avvicinò quanto potè.
Con una forza d’animo mai vista prima dalla ragazza , l’orco ripetè quell’azione altre mille volte, ricadendo e senza mai stancarsi, messo in ridicolo di fronte a quei due osservatori secondo gli ideali orcheschi. Ma da tempo li aveva ormai abbandonati. Non se ne curava del pensiero degli altri. La sua era una lotta interna.

Alla fine riuscì a mettersi carponi e a strisciare fino al suo nuovo e scomodo giaciglio. Li si stese e si addormentò senza rivolgere una parola ai vicini.

Sandresh continuava la sua terribile agonia. Aveva avuto modo di pensare a Meriel. In quelle poche notti insonni che aveva trascorso non aveva fatto altro che rimuginare su quelle maledette parole. Non poteva davvero credere che Meriel, la sua Meriel, lo avesse tradito. E non riusciva neanche a capire perchè rimanesse ancora in vita. Pensò che il suo subconscio magico non volesse abbandonare quel mondo senza averlo veramente aiutato. Ma non gli importava. La delusione per l’annientamento della più grande emozione che avesse mai provato era più forte. Era pieno, traboccante, ma sapeva che sarebbe rimasto così per l’eternità.

In tutto quel tempo non aveva versato una lacrima, non si era sfogato. Era rimasto muto, immobile con lo sguardo perso per giorni nel vuoto. Si sentiva pugnalato nel lato più sensibile del suo essere, in un lato appena sbocciato. Pensò e ripensò strenuamente a quanto era stato stupido a cedere all’incantevole bellezza di quella ragazza, che gli appariva così perfetta e peccatrice al tempo stesso. Era l’oggetto dei suoi desideri, l’oggetto delle vibrazioni del suo cuore. Ma quel maledetto oggetto si era volontariamente strappato via con tutta la forza che aveva.

Non aveva più senso vivere. Quante volte, da ragazzo, aveva consolato suoi amici dicendogli di andare avanti? Quante volte aveva fatto appoggiare una testa lacrimante alla sua forte spalla già bagnata da precedenti pianti? Ma per lui era diverso. Meriel era diversa. La situazione era diversa. Tutto era maledettamente diverso.

Non aveva la forza di mettere fine alla sua vita, non certo finchè non avesse scoperto il perchè di quel tradimento.

La sua lunga, interminabile, meditazione non veniva mai interrotta, anche quando i carcerieri gli portavano il cibo.

Ma al terzo giorno di catalessi, un soldato gli venne a portare il solito rancio. Lo posò al suo fianco.
Era una ragazza. Si chiamava Zyridian. Aveva origini elfiche, ma i suoi tratti erano umani. Era entrata nell’esercito perchè spinta dal nobile padre, grande alleato di Brandalor. Egli voleva un maschio, ma deluso nelle sue aspettative, costrinse sua figlia a comportarsi da tale. A l’età di soli sedici anni, fu rinchiusa in una caserma, dalla quale uscì solo dopo due anni, quando aveva ormai raggiunto la maggiore età.

Zydrian pensava che così avrebbe finalmente scelto autonomamente cosa fare, ma si sbagliava. Tornata a casa, il padre non l’accettò e quest’ultima, non avendo il coraggio di abbandonare il suo antico tenore di vita, ritornò ad incasarsi in una squallida caserma.
Qui aveva avuto qualsiasi tipo di richiesta, come ci si poteva aspettare da degli stupidi soldati che non vedevano ragazze da anni e anni, ormai, se non alcune meritrici in quei due-tre giorni l’anno di permesso.
La ragazza, quindi, si costrinse a diventare forte, a nascondersi dietro un muro di durezza ed insensibilità, che non l’aveva accompagnata nella sua frivola giovinezza.
Ma in quel momento, il suo animo femminile prese il sopravvento. Questa sua metà per molti anni respinta non si capacitava di vedere un ragazzo di un fascino incondizionato così brutalmente combinato.

Si accovacciò ai suoi piedi e gli carezzò dolcemente la mano diventata incredibilmente bianca.
Sandresh ebbe una lieve sussulto. Era il primo segno di vita che dava da quando aveva sostenuto quell’interrogatorio, di cui ricordava ogni singola frase.
Zyridian fece un salto all’indietro, spaventata da quel corpo, che pensava in coma. Ma vedendo che il tutto si era fermato a quel sussulto, si riavvicinò cauta. Rimase qualche tempo a fissarlo. Poi si alzò e si diresse verso il bagno. Da qui prese una spugna, la bagnò, e tornò dall’arcimago. Gli sciaquò via la sporcizia incrostata che si era venuta a formare sulla pelle. Cacciò via tutti gli insetti che trovò e anche qualche piccolo topo.
Finalmente Sandresh fu in un certo senso riscosso da quello stato di incoscienza in cui era caduto. Quella ragazza in armatura lo aveva colpito. Perchè lo stava accudendo?

Ma subito dopo la realtà gli rovinò addosso… Si sarebbe svegliato. Le sue membra avrebbero ricominciato a muoversi, il suo cervello a pensare, ma il suo cuore si era fermato.

Mentre dava i primi segni di risveglio, sentì dei passi, stavano arrivando degli altri soldati, segno che il suo udito si era già risvegliato, e quindi captava ciò che quella ragazza non poteva ancora sentire. L’avrebbe voluta avvertire, ma era troppo stanco per aprir bocca.
Quando Zyridian sentì i passi dei commilitoni era ormai già troppo tardi e decise di continuare nel suo intento.

Arrivarono i due soldati, le urlarono qualcosa che Sandresh non riscì a capire. Poi vide con la vista appannata una punta di ferro avvicinarsi sempre di più al suo naso. Poi tutto nero.

L’orco si risvegliò giusto due ore dopo, di soprassalto. Dalla sua faccia si capiva che avrebbe dormito volentieri per un altro giorno intero. Era sudato e ansimava. Durante il sonno non aveva fatto altro che girarsi e rigirarsi su quello scomodo letto di legno.

Beiel lo aveva osservato a lungo, poi aveva deciso di lasciarlo al suo raccapricciante sonno. Attratta dall’irregolare respiro di quella creatura, si riavvicinò alle sbarre che li dividevano:
<< Ben Svegliato – gli disse – come ti senti?>>

L’orco non rispose. Si limitò a guardarla. Non sapeva se poteva fidarsi di quella misera donna.

<< Ehi, non hai sentito? Ti ha fatto una domanda! Siamo tutti nella stessa situazione, amico!>> s’intromise Boindur.

<< Calma Boindur! Questa creatura avrà subito le peggiori disgrazie!>> rispose Beiel, colpita da tanta insensibilità.

<< Non si preoccupi, signora. So difendermi benissimo da solo. Ma comunque la ringrazio.>> Disse l’orco rivolto a Beiel, che non aveva le parole per ribattere. Dopo Continuò:

<< E per te, amico nano – e a questo punto accennò un inchino col capo – hai ragione. Siamo tutti buttati in una spoglia cella. In questo maledetto luogo di atrocità, torture e malvagità di ogni sorta. E’ un luogo triste e senza scampo… Ah non mi sono presentato, il mio nome è Ualong.>> concluse.

Beiel era senza parole dall’eloquenza di quell’umile orco, ma in un certo senso lo ammirava. Parlava in un modo così deciso… :

<< Ciao Ualong… Il mio nome è Beiel e lui – indicando il nano – è Boindur.>>

<< Salute! Sono felice di avervi incontrato.>> rispose l’orco.

<< Salve… Scusami per prima ma… diciamo non sto attraversando un periodo facile… Prima hai parlato come se conoscessi questo luogo… Sai qualcosa che noi non sappiamo?>> chiese il nano.
<< Ma come? Non conoscete la leggenda dei Vortici del Maelstrom?>> Rispose l’orco, e si mise a spiegare.

<< Quel ragazzo vive in condizioni pessime! Bisogna portarlo di corsa in infermeria se non vogliamo ucciderlo!>> Zyridian stava furiosamente discutendo con il Tenente delle Prigioni. Il suo elevato rango glielo poteva permettere, di tanto in tanto…

<< Ti ho già detto che per ordini dei Generali dobbiamo trattare quell’arcimago in condizioni in cui egli non possa acquistare forza e potere!>> rispose con toni non meno duri il Tenente.

<< Ti ricordo che mio padre è un grande amico del tuo venerato Brandalor e che proprio domenica dovrebbe venire a cena da noi. Una parolina spesa bene, e tu finisci a spalare il letame nelle stalle nella più sperduta Caserma di campagna del Reame!>> insinuò Zyridian con malizia.
<< E vabbene, vabbene… Portalo in infermeria… Ma appena sta bene, sbattilo in cella!>> concluse il Tenente, piegandosi ai voleri di una ragazzina solo per potere.

La ragazza andò a prenderlo. Si fece portare una barella.

Sandresh aveva paura. Tanta paura. Non sapeva cosa gli stavano facendo. Ma le parole di quella ragazza lo calmarono.

Ella lo accudì personalmente giorno e notte.

Stava lì vicino a lui e scattava ad ogni sua richiesta. Se n’era invaghita. Ma sapeva che il loro amore era impossibile.

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