Non ci capisco niente

Non ci capisco niente.
No cioè. In realtà non ci ho mai capito niente.
Non ho mai capito perché sono nato qui. Perché in questa campagna. Perché in questa famiglia povera. Perché non in città? Magari avevo una TV, e quest’ora starei vedendo i cartoni.

Non ci capisco niente


Ma no. Io devo star qui, fermo.
Masticare e sputare. Rigore giornaliero. Masticare e sputare. Mio padre mi ha fatto vedere come si fa. Forse anche lui da piccolo masticava e sputava. Ora no, ora tocca a me. Chissà, forse è un compito importante. Forse questo rigore vale qualcosa. Forse dividere il miele della cera serve a qualcosa. Sicuramente, non serve a me. Rigore. Rigore. Mastico, e sputo. A destra il miele, a sinistra la cera. Dopo un pò qualcuno viene a prendere il miele e butta via la cera. Io intanto riposo, e penso.
Non capisco cos’è quella luce lontana. Si vede solo di notte, all’orizzionte. È un pò più bassa delle stelle. Chissà chi le accende, poi le stelle. Neanche quello dev’essere un bel lavoro. Accendere le stelle, ogni sera, alla stessa ora. Rigore giornaliero.
Ecco, fine riposo, fine pensiero.
Masticare e sputare. Masticare e sputare. Dannato rigore giornaliero.
Non capisco perchè non posso conoscere nessun ragazzo. Qui nei dintorni non c’è praticamente nessuno. Le mie zie non hanno neanche un figlio. Sono io, io solo.
E Nina.
Non capisco nemmeno da dov’è venuta, Nina. Mio padre dice che è mia sorella, ma mia mamma dice di no. Non so nemmeno bene perchè viva con noi.
So solo che adora volare tra le corde dell’altalena. Io la vedo sempre volare.
Vola, vola, in alto verso le stelle e verso quella luce un pò più bassa.
Chissà chi le accende, le stelle.
Intanto, il suo vestito si alza e io la guardo ancora volare. Mi fa star bene, guardare Nina volare. Fa un bell’effetto, guardarla.
Come alza le gambe mentre è in alto, come i neri capelli le ricadano sul volto quando torna indietro. Mi piacerebbe starla a guardare. Peccato che il miele non si divide da solo.
Mastica e sputa, ancora.
Non capisco perchè di notte a volte mi rincorre questo pensiero. Penso a Nina, ma non come a una sorella, nè tantomeno come una ragazza. Penso a lei e a me. Il parroco ha detto che sogni del genere sono solo brutte ombre nella candida luce di Dio. Peccato che la mia non possa essere cacciata.
Io ci ho provato. Ma niente può fermare un’ombra del genere. Forse un coltello.
No, neanche quello.
Intanto, faccio finta di niente. Nessuno deve sapere. Mio padre soprattutto. Probabilmente mi caccerebbe di casa se solo sapesse. Forse mi farebbe imbarcare, per lontano.
Mastica e sputa, ancora.
Dalla finestra, intanto, vedo Nina volare, ancora.
Mastico e sputo, ma ogni tanto il ritmo si interrompe. Giusto per darle uno sguardo, cosa c’è di male?
Quando mi guarda, torno al mio rigoroso ciclo. È una specie di maschera, non deve vedere cosa provo realmente. Probabilmente lo direbbe a mio padre.
Mastico e sputo. E sento il suo sguardo su di me.
È possibile, poi, sentire lo sguardo di qualcuno sul proprio volto? Non capisco come sia possibile. Eppure so che mi sta guardando.
Le passo accanto, sulla mia bicicletta. Cioè, a dirla tutta, è di mio padre. Ma praticamente ora è mia.
Il problema è che non ho mai realmente parlato con Nina. Mastico e sputo tutto il giorno. Non so neanche cosa dirle. La guardo e basta. E lei mi ricambia con un sorriso.
Non capisco come sia possibile stare così bene solo guardando una ragazza negli occhi, e sorridendo.
Ma devo andare. Il rigore chiama.
Mastica e sputa.
E intanto, di notte penso. Non guardo più la luce, nè mi chiedo chi accenda le stelle. A chi importa?
No cioè. Mi importa. Ma il mio pensiero è ormai solo uno. Non posso, non devo andare avanti così.
Nina Nina Nina Nina.
Alla fine è solo una ragazza, no?
Il nonno ne parla anche male.
Non era normale. Non era una ragazza come le altre.
Non ho mai visto una ragazza, ma so che lei è diversa. Non è come le zie, o come mia madre. Lei è Nina.
Forse un giorno riuscirò a prenderla, alla schiena.
Come fa il vento.
Se lo fa il vento, perché non posso farlo io?
Mastica e sputa, ancora.
Prima dell’inverno, prima che faccia neve, alla schiena.
Nina andrà via, tra qualche mese, non la rivedrò mai più.
Intanto il freddo cala sulla casa.
Prima che sia inverno.
Masticare e sputare.

Liberamente ispirato da Ho visto Nina volare, di Fabrizio de Andrè 
Gennaro-Cennaro-Nolano

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