Il segno dell’untore è un romanzo di Franco Forte, edito da Mondadori, dalla trama avvincente che richiama lo stile dei gialli fino a fonderlo con il thriller: un crimine, lo studio della scena del delitto, un’indagine approfondita con interrogatori condotti in maniera astuta dall’ispettore del caso, il notaio criminale Niccolò Taverna.
La trama è ben costruita e la soluzione del mistero avviene per gradi, lasciando il tempo al lettore di congetturare e arrivare alla risoluzione dell’enigma assieme al Taverna.

La storia si svolge completamente nell’arco di un’intera giornata estiva nella Milano del 1576 devastata dalla peste.
Niccolò Taverna si trova a tenere a bada le proprie emozioni; la morte della moglie Anita, deceduta in quelle stesse ore a causa della peste, che aveva infierito su di lei portandola alla pazzia fino al punto di odiare il marito ritenendolo responsabile del suo male. L’incontro con la bella Isabella dall’aspetto dolce come un angelo, ma dal carattere forte e combattivo, decisa a far parte della vita, sia lavorativa che sentimentale, di Niccolò. L’uccisione di un commissario dell’Inquisizione Spagnola: Bernardino da Savona. La sparizione di un candelabro di Benvenuto Cellini dall’altare del Duomo in costruzione. Tutte cose che gli renderanno faticosa quella torrida giornata d’agosto.
Inoltre deve districarsi tra le pressioni, a risolvere il caso velocemente, fattegli dalle alte cariche quali il Governatore del Ducato di Milano, il Capitano di Giustizia e il Vicario di questi che non gli nascondono che in gioco non c’è solo la sua carriera ma anche la vita. E le interferenze dell’Inquisitore generale e del suo segretario che mal gradiscono intromissioni nei loro loschi affari.
La lettura è scorrevole, il linguaggio di facile comprensione, anche se il lettore scopre con piacere l’uso del dizionario per l’approfondimento di alcuni termini non proprio di uso comune.
La descrizione del periodo storico è precisa e molto gradevole nel far conoscere la quotidianità del tempo a cominciare dal modo di vestire e dal comportamento dei personaggi fino ad arrivare ai cibi consueti dell’epoca, come la birraia una forma di pane lasciata a macerare tutta la notte nella birra e poi mangiata sgocciolante.
Magistrale la relazione offerta da Niccolò dell’Inferno di Dante con la peste che devasta Milano, suggerendo che la descrizione del poeta dell’agonia dei dannati prenda spunto da una realtà simile a quella che Niccolò stesso si ritrova suo malgrado a toccare con mano.
Il romanzo si chiude con un epilogo che ci lascia in attesa della prossima indagine del notaio criminale Niccolò Taverna.