W: Ciao Valentina, grazie per aver accettato di essere intervistata da me per la nostra Warlandia. Tanto tempo è passato dalla pubblicazione del tuo primo romanzo. Oggi hai 26 anni e sei una giovane donna. Cosa fai nella vita?
V: Ciao e grazie a te per l’intervista! Eh già, ne è passata di acqua sotto i ponti! Cos’ho fatto dal 2009 a oggi? Ho lavorato mentre frequentavo le superiori e l’università, mi sono laureata in psicologia e ho viaggiato molto, ma ancora sinceramente devo capire cosa “farò da grande”. Mi piacerebbe molto lavorare presso qualche associazione che si occupi di ecologia o di comunità rurali. Diciamo che sono alla ricerca di un modo di vivere diverso da quello della società occidentale, una cosa che un po’ ricorda gli umani del mio libro, ora che ci penso…evidentemente è un desiderio che sento inconsciamente sin da piccola.
Inoltre, anche se adesso soffro del blocco dello scrittore, nel frattempo ho pubblicato un altro romanzo sempre di tipo fantasy-surrealista, ma stavolta dedicato agli adulti, e svolto dei laboratori di scrittura coi ragazzi delle scuole medie.

W: Cronache di un mondo a parte sembra un fantasy, ma nasconde molte riflessioni profonde sulla diversità, sul bullismo, sulla difficoltà di relazione e sull’amicizia. Sono tutti temi molto forti e difficili, eppure la ragazzina che eri li ha affrontati con una maturità non comune. Mi racconti di più?
V: La diversità è una mia vecchia conoscenza. Mi sono sempre sentita un’aliena fra i miei coetanei, però ero anche una persona sensibile ed emotiva, molto ricettiva nei loro confronti. Percepivo intensamente l’ingiustizia e il dolore sia su di me che sugli altri, così come la gioia. Sembravo solitaria, ma in realtà ero solo molto riflessiva e alla ricerca di esseri che fossero sulla mia lunghezza d’onda. Inoltre, ho sempre avuto il bisogno insoddisfatto di sentirmi veramente “parte di qualcosa”, ma ho sempre fatto fatica a trovare un gruppo o un ambiente dove stare veramente bene. Forse è una cosa comune a molte personalità artistiche e ad alcuni capita di sperimentare questa sorta di malessere-nostalgia anche da bambini. Inoltre, se la buttiamo sul personale ho anche avuto una situazione famigliare difficile…ma non voglio che la mia vita sembri una lista di sciagure! Ci sono sicuramente persone che possono lamentarsi più di me della loro esistenza, e poi credo che ognuna delle difficoltà che ho affrontato mi abbia alla fine reso quella che sono.
W: C’è stato qualcuno che ti ha accompagnato in questo percorso di amore alla scrittura?
V: Sono cresciuta circondata da pigne di libri e mia madre scriveva poesie, quindi ho avuto un ottimo inizio. Per la verità in casa c’era anche un pianoforte, eppure ci siamo sempre guardati con reciproca diffidenza. Mi attraeva di più la carta, mi piacevano le parole, il loro suono e la loro forma. Voglio comunque ringraziare per il sostegno tutti gli insegnanti, critici, giurie di premi letterari e naturalmente il mio editore, la Zephyro, che mi ha accompagnata interamente nel processo di editing del mio primo romanzo senza nessuna pretesa nei miei confronti e dimostrando una notevole fiducia in me.
È stata una delle esperienze più belle e costruttive della mia vita.
W: Quali sono i tuoi libri preferiti? Non dico uno solo perché è come scegliere fra la cioccolata e il gelato…impossibile!
V: W la cioccolata ahah! Sui libri mi metti più in crisi. Dunque, non posso non citare i Viaggi di Gulliver e l’Odissea, due grandi pietre miliari della letteratura che sicuramente hanno ispirato un po’ la mia storia. Poi ci sono le opere di Edgar Allan Poe: di lui la gente conosce solo quei pochi racconti dell’orrore, ma in realtà ha scritto molte poesie, storie di vari generi, articoli di giornale, un romanzo e un saggio. Merita di essere scoperto. Fra i fantasy, oltre ai classici di Tolkien amo molto “Il nome del Vento” e “La paura del saggio” di Patrick Rothfuss. Nelle intenzioni dell’autore sarebbero i primi due capitoli di una trilogia, ma sono passati diversi anni e ancora non ha finito il terzo…mi unisco al coro di aspettativa e impazienza dei suoi fan. Ho apprezzato anche la saga di Hunger Games, diversi libri di Michael Crichton, “Un indovino mi disse” di Terzani. Mi viene in mente anche “Una storia per l’essere tempo” di un’autrice poco conosciuta in Italia che si chiama Ruth Ozeki. Un libro delicatissimo e profondo.
Come puoi vedere mi interesso soprattutto di fantasy, fantascienza, distopie e sociologia, ma leggo di tutto. Che domanda difficile mi hai fatto!
W: Ho letto qualcuna delle tue poesie sul tuo sito. Sono colpito! Come è nata la passione per la poesia?
V: In realtà ho iniziato con la poesia prima di passare alla narrativa. Ricordo che da piccola mi piaceva memorizzare canzoni e filastrocche, così all’inizio delle elementari ho voluto provare a scrivere le mie. Per me una poesia ben scritta è l’equivalente di una musica, di una danza e di un massaggio messi insieme. Le parole e il ritmo mi provocano emozioni e sensazioni quasi tattili, facendomi sentire viva e arricchita. Purtroppo sembra che sia diventata un’arte del passato.
W: In Cronache di un mondo a parte, la tua Jennet è una ragazza molto determinata e coraggiosa. Immagino che sia un pezzetto della tua anima, come tutti i tuoi personaggi. Quali esperienze personali ti hanno condotto a immaginare una storia con un focus così attento alla diversità?
V: In parte alcuni eventi famigliari e in parte, come dicevo prima, l’esperienza di “alienazione” che sperimentano quelli che non sono come la maggioranza, per un motivo o per l’altro. Può essere il colore della pelle, la sensibilità, la maturità, la provenienza geografica, l’età, il sesso, una caratteristica fisica o mentale ecc. Spesso si viene considerati male o non considerati affatto. In età adolescenziale questo può far soffrire molto, così come d’altra parte può far fiorire la nostra vera identità a dispetto dei continui richiami al conformismo che la società ci impone. Affrontare questa esperienza richiede lo stesso coraggio e la stessa apertura mentale di Jennet. È un vero e proprio viaggio dell’eroe, come si può definire oggigiorno chiunque riesca a essere se stesso in un mondo che ci vuole tutti uguali.
W: Mi ha molto colpito la crudezza con cui hai narrato l’orrore con cui i giganti compiono le loro terribili azioni. In alcuni casi la tua scelta narrativa mi è sembrata persino troppo forte per una ragazzina. Immagino fosse voluto. Me ne vuoi parlare?
V: Certo, mi fa piacere dare qualche spiegazione in merito. Il capitolo 20 è quello che di solito sconvolge maggiormente i lettori, ma se ci pensi da quell’evento tragico si innesca una reazione in uno dei personaggi che porta a uno sviluppo nella storia. Alcuni si scioccano per gli aspetti più cruenti del libro, ma mi sembra un po’ strano perché ormai l’arte, soprattutto quella cinematografica, mostra un’impressionante quantità di sangue e cattiveria. Basti pensare a molte scene di Game of Thrones, o all’inquietante atmosfera degli ultimi film di Harry Potter, o alle diverse serie tv riguardo a vampiri, zombie e lupi mannari. Tutte queste cose vengono viste quotidianamente anche dai ragazzini. Le famose fiabe dei fratelli Grimm in origine erano molto crude, poi sono state rivisitate dai film Disney e rese storie a lieto fine.
Ho scelto di parlare del male senza veli perché credo che venirne a conoscenza sia indispensabile per crescere, e perché credo che già da molto giovani ci si possa imbattere in inquietudini e paure anche molto importanti. Forse qualcuno metaforicamente si è sentito in pericolo, ferito e in balia di eventi tremendi più grandi di sé, proprio come gli umani del libro. E come gli umani del libro impara che alla fine si può sopravvivere.
Comunque, “Cronache di un mondo a parte” è consigliato dai 12 anni in su, per evitare che i passaggi più impegnativi possano inquietare i bambini e i ragazzi troppo piccoli. L’incontro col male deve avvenire in sicurezza e far nascere domande, non destabilizzare eccessivamente. Va fatto quando si è pronti. E vale anche per gli adulti.
W: E Jolef? Intravedo una figura paterna, mi sbaglio?
V: Ah, Jolef! Mi viene da sorridere quando ne parlo anche a distanza di anni. Non crederesti mai a quanto mi sia affezionata a questo personaggio. Capita così a tutti gli scrittori?
Già dai primi capitoli Jolef si presenta principalmente come l’archetipo del bene, tanto che a volte come tutti i buoni e gli onesti finisce per fare la figura del fesso. Ma incarna anche tante altre cose: un padre-protettore che penso tutti i bambini e i ragazzi prima o poi abbiano desiderato, un amico leale, un modello che rassicura e insegna. E il concetto stesso di “potere” utilizzato per il bene altrui e non per il proprio tornaconto. Con Jennet le differenze sono davvero tante: vengono da due mondi diversi, lui è un gigante di 30 anni e lei una minuscola umana adolescente, eppure come hai detto nella tua bellissima espressione “i loro cuori parlano la stessa lingua”. C’è da subito una grande comprensione a pelle, inoltre così come lui introduce Jennet nel mondo in cui sarà costretta a vivere, così lei lo coinvolgerà più da vicino nello stile di vita degli umani che tanto lo appassionano. Ma mi fermo qui, perché se no faccio sicuramente qualche spoiler.
W: E cosa mi dici di Kreetch Kroock? Trovo che persino il nome abbia un suono volutamente duro che richiama alla sua personalità distorta.
V: Sto per dire una cosa assurda, ma sai che negli anni mi sono per così dire “affezionata” pure a Kreetch Kroock? Lasciami spiegare il perché, cominciando dal nome (o soprannome, immagino…chi chiamerebbe suo figlio così?). È stata la prima caratteristica che mi è venuta in mente per descriverlo quando ho iniziato a immaginare la mia storia. Come noti è onomatopeico: richiama qualcosa che si spezza e si schiaccia. Non solo è quello che lui abitualmente fa agli umani, ma probabilmente è anche come lui si sente dentro di sé. Non sa sopravvivere senza distruggere qualcosa, utilizza il potere in modo diametralmente opposto a Jolef e probabilmente è il più solo e il più fragile di tutti, anche se non sembra. Serviva un antagonista particolarmente negativo per bilanciare dei protagonisti tanto positivi. Mi rendo conto che questa visione del mondo diviso in opposti sembri abbastanza drastica e un po’ infantile, ma credo sia adatta a una storia di formazione. Spesso nell’adolescenza si ragiona così, per assoluti. È la struttura di molte favole e leggende. Solo crescendo poi si imparano le sfumature.
Questo è l’aspetto “narrativo”, mentre a livello più intimo Kreetch Kroock rappresenta il mio demone interiore, che poi è il demone che ogni persona si trova dentro e che può esprimersi o restare dormiente. Ritengo che il non negarlo, il dargli in qualche modo voce possa essere una grande esperienza di autoconoscenza e un modo di far pace con la natura della vita, che fra le altre cose prevede anche la distruzione e la morte. Non sto dicendo che bisogna vivere costantemente pensando a questi aspetti: vanno presi a piccole dosi e certamente gli va dato uno sfogo che sia socialmente accettabile. L’arte ad esempio è una di queste vie, è un potente linguaggio simbolico. Ma negare gli impulsi e le emozioni negative o pensare di essere solo puri e buoni secondo me è un’illusione, inoltre più si cerca di reprimere i demoni e più vengono fuori sotto forma di malesseri fisici, mentali e comportamentali. Bisogna riuscire a conviverci.
Tu che hai letto il libro sicuramente noterai questo aspetto nei capitoli finali, ma non dico niente perché devo lasciare un adeguato alone di mistero 😉
W: Progetti per il futuro?
V: Le bozze non mancano, però come dicevo ho messo un po’ da parte la scrittura perché ogni storia mi sembrava già raccontata da qualcun altro. Sono ancora alla ricerca di me stessa, ma sono sicura che quando mi sarò un po’ ri-trovata tornerò a fare pasticci con l’inchiostro e le pagine bianche…come si dice in inglese, stay tuned!
W: Grazie molte per avermi dedicato il tuo tempo. In bocca al lupo per il tuo futuro. Vuoi salutare qualcuno in particolare? O vuoi lanciare un messaggio? Ecco il nostro piccolo spazio a tua disposizione.
V: Grazie a te, è stato molto piacevole risponderti. Vorrei salutare e ringraziare chiunque oggigiorno si metta a leggere i libri. Non vi sembrerà di fare niente di speciale, ma ogni volta che comprate o suggerite alla biblioteca un libro, soprattutto uno che avete scelto personalmente perché vi chiamava e non perché era il fenomeno del momento, state salvando un pezzetto di cultura e state facendo felice uno scrittore. Anche se poi non vi piace e lo date via, non importa: è avvenuto comunque un incontro fra due anime per mezzo di una storia scritta e questo ha generato emozioni di qualche tipo.
Penso la stessa cosa dei quadri, dei fumetti, dei film, delle serie tv e delle canzoni che sono fatti prima di tutto col cuore, e solo allora si vede se vendono. A volte il successo commerciale coincide con la bellezza, a volte no, e in fondo chi sono io per dire cosa siano veramente la bellezza o l’arte? Ma quando una narrazione, in qualsiasi forma, vi fa vibrare qualche corda e rende la vostra vita un po’ migliore, allora per me quella è arte. E va conservata con tutte le forze.
Un abbraccio.
Valentina Tagliabue